Sotto accusa due colombiani: Alexander Ceron Restrepo e Karla Violeta Royos
TESI DI LAUREA CON LA COCAINA: IL PROCESSO DEVE RIPARTIRE DA ZERO
Un plico dall'Argentina con 98 fogli impregnati di 859 grammi di droga
TREVISO – (gp) Si sarebbero resi protagonisti del primo (e maldestro) tentativo di importazione di cocaina in Italia impregnando 98 fogli di carta dattiloscritti, camuffati da tesi di laurea: in tutto 859 grammi di polvere bianca spedita in un plico dall'Argentina in una casa di Treviso. Ma il processo a carico dei due colombiani sotto accusa, Alexander Ceron Restrepo e Karla Violeta Hoyos, dovrà ripartire dall'inizio. Il loro legale, l'avvocato Fabio Crea, ha infatti sollevato un'eccezione riguardo la nullità della richiesta di rinvio a giudizio che è stata accolta dal giudice. Motivo per cui gli atti sono stati rispediti al pm che dovrà ora riformulare l'imputazione a loro carico. I fatti contestati risalgono al 18 settembre 2010 quando il plico, spedito dal paese sudamericano, arrivò in città attraverso un corriere Dhl. Destinataria una connazionale degli imputati residente in centro storico la quale, seppur stupita, firmò la ricevuta e ritirò il pacco. All'interno c'era una busta sigillata di colore marrone che conteneva i 98 fogli carta dattiloscritti con l'intestazione simile a una tesi di laurea. La donna però si insospettì sentendo un forte odore di benzina (utilizzata con ogni probabilità per confondere il fiuto dei cani antidroga in caso di controlli) provenire dalla busta e, assieme alla figlia, decise di portare il plico in questura. L’esame chimico immediatamente eseguito dagli inquirenti permise di scoprire che le fibre di quella finta tesi erano impregnate di 859 grammi di cocaina. Le indagini successive portarono in breve tempo alla ricostruzione dell’intera vicenda. La droga era, in realtà, indirizzata ai due colombiani che conoscevano la connazionale e che per un periodo erano stati suoi ospiti. Pochi giorni prima che le arrivasse il pacco, i due le avevano chiesto se potevano utilizzare il suo indirizzo come base per il recapito della posta. La donna, però, ha sostenuto di non aver mai dato loro il permesso. E la conferma sarebbe arrivata dalle intercettazioni telefoniche successive ordinate anche sulla sua utenza, che non avrebbero dato alcun riscontro escludendo un suo possibile coinvolgimento nella vicenda.