PIEVE DI SOLIGO - (gp) “Non essere riusciti a trovare l'arma del delitto di certo ha complicato le indagini”. Parole del procuratore capo di Treviso Michele Dalla Costa che è tornato ieri sul caso dell'omicidio di Emanuele Simonetto che, a due anni e mezzo dal delitto, è destinato all'archiviazione. “Non abbiamo neanche il movente anche se abbiamo motivo di ritenere che parecchie persone potessero avercela con la vittima. Da parte nostra abbiamo fatto il possibile e abbiamo analizzato tutto quello che era possibile analizzare – continua Dalla Costa - Tante volte capita che non si arrivi a una soluzione. Certo in questi casi è meglio avere un'archiviazione che consente di riaprire le indagini piuttosto che giocare la carta di un rinvio a giudizio e poi magari avere una sentenza di proscioglimento o di assoluzione che impedisce qualsiasi riapertura del caso”. Manca insomma soltanto l'atto formale, come ha sottolineato il procuratore, prima di chiudere in un armadio i tre faldoni riguardanti l'assassinio del 49enne di Farra di Soligo, caporeparto dell'Arpa Verniciature di Pieve, ammazzato nella serata del 7 febbraio 2012 nel piazzale dell'azienda in cui lavorava. Il pm Giovanni Valmassoi, titolare del fascicolo, non ha elementi sufficienti per chiedere un'ulteriore proroga e sta riorganizzando le carte per chiedere l'archiviazione del caso. La speranza è che comunque non rimanga un omicidio irrisolto, ma soltanto uno sviluppo futuro (che al momento sembra remoto) potrebbe risolvere l'enigma e portare all'individuazione del colpevole. In due anni e mezzo nulla è stato trascurato: interrogate 300 persone, analizzata ogni chiamata effettuata da Simonetto nei due anni precedenti l'omicidio, controllati più di 80 profili di dna tra coloro che hanno avuto anche un singolo contatto con la vittima. Perizie balistiche e tecniche hanno escluso centinaia di armi individuando un range di soli 30 fucili che potrebbero aver esploso quei due colpi. E poi testimonianze, video delle telecamere di sorveglianza, intercettazioni telefoniche e ambientali. Manca però il collegamento tra questa immensa mole di dati. E pensare che gli inquirenti, a pochi giorni dal delitto, avevano iscritto una persona nel registro degli indagati. Era il sospettato numero uno, poi scagionato qualche mese più tardi già in fase d'indagine avendo isolato il dna del killer. La sua posizione da oltre un anno e mezzo è stata accantonata, e verrà formalmente archiviata assieme al fascicolo.