Sotto processo per interferenza illecita nella vita privata l'agente Nicola Glorioso
MICROSPIA AL COMANDO DEI VIGILI: LE ACCUSE SI STANNO SGRETOLANDO
I colleghi "spiati": rimettiamo la querela in cambio del reintegro alla pg
TREVISO – (gp) Il caso della microspia piazzata nel comando della polizia locale di Treviso si sta sgonfiando. A palesarlo, nel corso del procedimento penale a carico di Nicola Glorioso, l'agente di polizia giudiziaria accusato di interferenza illecita nella vita privata perchè, secondo l'accusa, avrebbe sistemato la “cimice” negli uffici di polizia giudiziaria di via Castello d'Amore, è stato un particolare finora sconosciuto emerso in udienza. Prima di avanzare una richiesta risarcitoria di 50 mila euro, i due colleghi di Glorioso che si sono costituiti parte civile a processo con l'avvocato Daniele Panico avevano proposto di rimettere la querela in cambio del ritorno nel loro posto di lavoro. A scandalo scoppiato entrambi erano stati spostati ad altro incarico in seguito alla riorganizzazione degli uffici di Polizia Locale: uno alla sezione infortunistica stradale, l'altro alla sezione di polizia di prossimità. Non una promozione insomma, ma nemmeno un declassamento. Richiesta, confermata in aula dalla comandante della Polizia Locale Federica Franzoso, che non è andata a buon fine e che suona come un tentativo di mettere fine alla vicenda giudiziaria in vista di una sentenza che ora pare pendere a favore dell'imputato. Un altro particolare finora ignoto è stato raccontato al giudice dal vicecomandante Roberto Mazzon il quale, dopo la famigerata lettera anonima inviata al questore di Treviso nella quale si criticava l'operato di Glorioso allegando anche un documento riservato (e cioè soltanto un interno poteva averlo portato fuori dagli uffici di via Castello d'Amore), voleva sapere chi fosse il “corvo”. Per questo motivo avrebbe chiesto proprio a Glorioso se la Polizia Giudiziaria avesse in dotazione delle microcamere. L'idea era quella, se ci fosse stata l'autorizzazione da parte delle autorità, di piazzarla nell'ufficio di Mazzon per scovare il “corvo”. Una circolare interna, che imponeva di chiudere a chiave i fascicoli all'interno degli armadi degli uffici, rese superfluo il proseguimento di quell'indagine. Ma Glorioso aveva già recuperato la microspia da un suo collega di polizia giudiziaria che gliel'aveva prestata. Non dovendola più utilizzare, venne riposta da Glorioso sopra il suo computer. Fu da lì che registrò la mezz'ora di conversazione avvenuta nell'ufficio di polizia giudiziaria tra le parti civili e lo stesso Glorioso, oltre ad altre due persone compreso il proprietario del portachiavi-spia. La stessa conversazione alla base del processo a carico dell'agente.