Il reato di associazione paramilitare era stato prima abrogato e poi reintrodotto
IL PROCESSO ALLA POLISIA VENETA RISCHIA DI FINIRE IN ARCHIVIO
I fatti contestati commessi nel periodo in cui non era perseguibile
TREVISO – (gp) La parola fine, almeno dal punto di vista giudiziario, non è ancora stata scritta. Ma tutto fa presupporre che il caso della “Polisia Veneta” si stia avviando verso un nulla di fatto. Sulla vicenda che vede imputati per costituzione di associazione paramilitare Daniele Quaglia, colui che nell’organizzazione avrebbe ricoperto l’incarico di governatore del popolo veneto, Sergio Bortotto, con l'incarico di ministro degli Interni e di capo della polizia, Paolo Gallina, comandante dei vigili urbani di Cornuda nella vita reale e generale della polizia veneta in quella dell’Autogoverno, la madre Giuliana Merotto, Danilo Zambon, 65 anni di San Fior, savio dell’Alta Corte di Giustizia e Dino Zorzi, 45 anni di Trevignano, colonnello della Polisia, si è pronunciata per due volte la Corte Costituzionale. La questione è complessa, ma la sostanza è abbastanza semplice: il reato di associazione militare con scopi indirettamente politici era stato abrogato nel marzo 2010 con il decreto legislativo n.43 del 1948, firmato dall'allora Ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli. La Procura di Treviso aveva sollevato un'eccezione di costituzionalità riguardo al fatto se fosse o meno corretto abrogare un reato con un decreto legislativo. Incassato il “no” da Roma (ovvero che l'abrogazione era costituzionalmente corretta), il processo sembrava destinato a chiudersi con un'assoluzione, ma nel maggio 2012, quando era stata fissata la nuova udienza preliminare, il reato era stato nel frattempo reintrodotto. A questo punto l'allora gup Elena Rossi decise di rispedire le carte per la seconda volta alla Corte Costituzionale perchè si pronunciasse nuovamente. L'esito è arrivato qualche settimana fa e l'interpretazione è più ardua del previsto, tanto che il gup Bruno Casciarri ha rinviato l'udienza a metà dicembre per studiare le motivazioni dei giudici romani. Il nodo da sciogliere è solo uno: posto che il reato è tornato a essere reato secondo la legge, c'è stato un lasso di tempo (dall'abrogazione alla reintroduzione) in cui non sarebbe perseguibile. Ed è proprio in quel periodo che si sarebbero verificati i fatti contestati ai sei imputati della Polisia Veneta.