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Un convegno e una messa ricordano il padre francescano morto nel 1944
PADOVA RICORDA PADRE CORTESE, MARTIRE DEL NAZISMO
Sabato 15 novembre la cerimonia presso la Basilica di Sant'Antonio
PADOVA - Il 15 novembre 2014 ricorre il 70^ anniversario della morte di padre Placido Cortese. Padova ricorda la figura del padre francescano, martire del nazismo, con un convegno che si terrà sabato, alle 16.00, alla Basilica del Santo (Sala dello Studio Teologico) a cui seguirà una messa officiata da S. E. Mons. Eugenio Ravignani, Vescovo emerito di Trieste.
Ai nostri microfoni, la professoressa Francesca Meneghetti, autrice del volume “Di là del muro. Il campo di concentramento di Treviso, 1942-1943”, presenta la figura di padre Cortese, incontrato nelle sue ricerche proprio in occasione della stesura del libro. Padre Cortese, infatti, si dedicò negli della guerra all’aiuto degli internati slavi, in gran parte sloveni, che tra il giugno ‘42 e l’8 settembre del ’43, furono rinchiusi nel campo di concentramento di Chiesanuova a Padova. Dopo l'armistizio e la liberazione dei prigionieri slavi, il suo impegno continuò nei confronti dei perseguitati ebrei ed antifascisti.
“Padre Placito, al secolo Nicolò, nacque a Cherso nel 1907. Seguendo la sua vocazione, diventò francescano e si formò presso il seminario di Camposampiero, svolse il noviziato presso la basilica del Santo a Padova e poi studiò teologia a Roma.
Dai trent’anni in poi visse a Padova, come ufficiature della Basilica di S. Antonio e direttore del Messaggero. Si dedicò poi all’aiuto degli internati slavi, ma inizialmente padre Cortese titubava. Temeva che gli internati fossero comunisti. In quegli anni il mondo religioso era fortemente impressionato dagli eccessi della guerra di Spagna. Ma poi tre ragazze slovene, che studiavano medicina all’Università di Padova, lo convinsero che le cose stavano diversamente: in effetti nei campi di concentramento allestiti dal fascismo monarchico (prima dell’8 settembre) furono imprigionati, specie in Slovenia (diventata provincia italiana dopo l’occupazione del ’41) civili di ogni sesso ed età, dai lattanti alle donne incinte, fino agli ultranovantenni sulla base di una norma che si potrebbe definire “legge dei sospetti” (era la circolare 3C del generale Roatta).
Il convento di S. Antonio di Padova, godendo di extraterritorialità, costituiva una sorta di enclave del Vaticano: quindi era una testa di ponte valida per intervenire e portare aiuti a persone che soffrivano la fame e il freddo. Padre Cortese era sensibile soprattutto ai bambini, per i quali cercò di provvedere non solo con il cibo, ma anche con giocattoli. Accantonato ogni sospetto, si buttò nell’impresa umanitaria, cercando la collaborazione dei vescovi di Gorizia, Padova e Treviso (Antonio Mantiero) e allargando il campo d’azione fino a Gonars (Udine), Renicci (Anghiari, provincia di Arezzo) e Treviso, là dove il campo di concentramento era allogato nella caserma nota come “Cadorin” sulla Feltrina. Padre Cortese lo visitò personalmente e rimase turbato dalla denutrizione e dalla sofferenza dei bambini (qui ne morirà una cinquantina), tanto da lasciare per iscritto le sue impressioni. Per altro non fu l’unico “angelo di carità”, perché altri soggetti, alcuni legati alla Chiesa, altri laici si prodigarono per fornire aiuti.
Quando, a seguito dell’armistizio, le porte dei campi di concentramento per slavi si aprirono, non vennero meno le occasioni di prestare aiuto ai bisognosi. Con l’instaurarsi della Repubblica Sociale Italiana, le nuove vittime divennero ebrei ed antifascisti. Il rischio ora era più alto: bisognava fare i conti non solo con l’incattivito fascismo repubblicano, ma anche con la Gestapo.
Ciò nonostante, padre Cortese entra in contatto con il gruppo FRAMA (dal cognome di Ezio
Franceschini e Concetto Marchesi, due importanti figure della Resistenza veneta). Moltissimi ebrei, fatti pervenire in Svizzera con documenti falsi, così si salvarono la vita. Mentre il padre provinciale intendeva trasferirlo lontano da Padova per proteggerlo da ritorsioni, Cortese volle trattenersi.
Sequestrato a tradimento, l’8 ottobre 1944, fu portato nel “bunker” della Gestapo di Piazza Oberdan a Trieste dove fu torturato fino alla morte (e poi forse cremato nella Risiera di San Sabba)."
Il 29 gennaio 2002 il vescovo di Trieste, Eugenio Ravignani, ha dato avvio al processo di beatificazione, conclusosi il 25 ottobre 2012. Gli atti sono a Roma. Il comune di Padova lo ha “inserito” nel Giardino dei Giusti nel 2008. Il 15 novembre 2014, in occasione dell’anniversario della morte, si terrà alla Basilica di Sant'Antonio di Padova una suggestiva commemorazione. Alle ore 16 nella Sala dello Studio Teologico – moderatore: Ivo Jevnikar verranno presentate pubblicazioni e testimonianze su padre Cortese, inclusa quella di Majda Mazovec, una delle tre studentesse slovene che lo coinvolse nel ’42. Seguirà un concerto, quindi, dopo il rito della Messa in Basilica, presieduto dal vescovo emerito di Trieste, Mons. Eugenio Ravignani, verrà inaugurato un memoriale. Martedì 19 alle 20.45, nella cripta di S. Giustina, sarà invece allestita un’azione scenica con regia di Filippo Crispo.