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Reportage
LE INTERVISTE DI RADIO VENETO UNO

Le Interviste di Radio Veneto Uno


Le nostre interviste andate in onda al termine del Giornale Radio Da questi link è possibile ascoltare e scaricare le interviste e i nostri approfondimenti andati in onda al termine del Giornale Radio ANTONELLO PEATINI Presidente provinciale FNAARC- ConfcommercioSTEFANO...continua

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PILLOLE DI GOLF/353: UOMINI & DONNE, SETTIMANA DI GRANDI TORNEI

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Golf
PILLOLE DI GOLF/352: FINALE A SORPRESA AL GENESIS, HOMA VINCE AL SUPPLEMENTARE

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Intervista con l'ex primario dell'ospedale di Vittorio

"SE UN MALATO PSICHICO INTERROMPE LE CURE DOVREBBE SUONARE UN ALLARME"

Lo psichiatra Paolo Urbani sull'omicidio di Moriago


MORIAGO DELLA BATTAGLIA - Sul caso del brutale omicidio della giovane trentacinquenne pievigina Elisa Campeol, avvenuto alcuni giorni fa, sulle grave del fiume Piave, in località Isola dei Morti, nel comune di Moriago della Battaglia, ad opera di Fabrizio Biscaro, un suo coetaneo di Col San Martino, che da tempo era seguito dal centro di salute mentale di Conegliano, abbiamo sentito un parere del dottor Paolo Urbani, ex primario nel reparto di psichiatria di Vittorio Veneto, specialista con oltre quarant’anni di esperienza. Era evitabile, secondo lo psichiatra Pier Paolo Urbani, la tragedia avvenuta una settimana fa all’Isola dei Morti a Moriago della Battaglia dove ha perso la vita, uccisa con oltre 20 coltellate, Elisa Campeol.
“Sentivo una necessità di fare del male a qualcuno”, è questa la frase che ha ripetuto più volte Fabrizio Biscaro, durante i vari interrogatori avvenuti dopo l’arresto. Proprio la sua scelta causale della vittima è il fatto che ha destato maggior tristezza ed incredulità in tutto il Quartier del Piave.

Professor Urbani, secondo lei questa tragedia, si poteva evitare se Fabrizio Biscaro avesse seguito una cura adeguata?

“Da quello che mi ha insegnato il mio maestro, il primario Spilimbergo, la psicosi non è una malattia che guarisce, è una malattia cronica e l’ipocrita 'politically correct' che segue l’onda della difficile guarigione dalla schizofrenia è una cosa che non sta nell’ecumene psichiatrica mondiale, perché questa malattia può essere in compenso clinico psicopatologico con una adeguata terapia psicofarmacologica. È come se un diabetico che ha bisogno dell’insulina per tutta la vita smettesse di prendere l’insulina; è normale che si creino degli scompensi con tutte le conseguenze a cascata che ne derivano. Lo stesso vale per l’ipotiroidismo o per chi soffre di pressione alta, come il sottoscritto. Queste sono malattie croniche le quali possono portare a un valore globale di funzionamento sociale, lavorativo e familiare premorboso e quindi se curate nella maniera adeguata anche la schizofrenia può esser tenuta sotto controllo. Quando io ero primario, nel momento in cui uno non si presentava alle visite, suonava fatalmente un campanello d’allarme e di allerta soprattutto se un paziente aveva una diagnosi di psicosi, schizofrenia o di sindrome delirante, questo perché, il malato è soggetto a delle ricadute se interrompe la terapia. Con me queste cose, in quarant’anni non sono mai successe, ma noi eravamo pronti ad andare immediatamente a casa del malato. Se vogliamo era un po' uno stato di polizia, ma sempre meglio questo che piangere una figlia morta, accoltellata con oltre 20 colpi di lama di coltello, comprato lucidamente”.

Secondo lei è possibile che un malato sospenda le cure e, nel caso questo avvenga, c’è una soluzione alternativa?

“In questi casi non c’è critica e coscienza di malattia, mi dimentico io di prendere le medicine, figuriamo uno psicotico che non capisce che deve curarsi. È chiaro che devi seguirlo e prenderlo in carico accompagnandolo tutta la vita. Questo è il compito che abbiamo sempre svolto, poi può succedere comunque, ma bisogna avere la coscienza tranquilla; ergo quando uno psicotico non si presenta io devo andare a domicilio. Lo facevano anche quando eravamo in quattro in tutta l’Ulss, ma in Italia c’è sempre una scusa, per esempio quella che manca personale e non si trova mai un responsabile. Questa faccenda la definisco in modo chiaro come una presa in carico che ha avuto delle falle”.

Qualcuno ha definito una "lucida follia" l’azione del Biscaro, secondo lei quale era il suo stato di salute mentale al momento dell’omicidio?

“Era in scompenso clinico psicopatologico per cui probabilmente sotto stimolo acustico dispercettivo ha ubbidito a queste voci, scatenando la rabbia che sentiva contro la prima persona che ha trovato, come è successo a Roma qualche settimana fa o il recente caso di Bologna. Bisogna seguire i malati psichiatrici perché, ripeto, è una errata affermazione del politically correct, che a me sta veramente in odio, per cui bisogna dire che si guarisce. Non si guarisce un tubo, si sta in compenso clinico psicopatologico con adeguata terapia”.

È credibile che la famiglia non si sia mai accorta di nulla, o che lo stesso Biscaro non abbia mai compiuto atti che facessero presagire una tragedia tale?

“Le famiglie tendono sempre a minimizzare e a sottovalutare i sintomi, ecco perché le riunioni coi famigliari servono a ragguagliare mettendo in guardia dicendo: ‘guardate che se lo vedete chiuso, se non parla con nessuno, se dà segni di alterazioni della condotta o del comportamento dovete informarci immediatamente’. Nel caso che qualcuno sospenda le cure e diventi violento, bisogna purtroppo ricorrere al (TSO) un trattamento sanitario obbligatorio. Io penso che tutti i sindaci che mi hanno conosciuto per questi frangenti lo sappiano. Io ne avrò fatti 250 nella mia vita, ma quando serve, serve”.

Questi fatti di cronaca, possono portare a forme di emulazione da parte di altre persone con questi problemi?

“Non credo che il ragazzo che ha ucciso la ragazza a Bologna, abbia letto le nostre cronache locali, sicuramente però ha sentito dei fatti accaduti a Roma. Sentendo queste cose non è certo un buon esempio; sarebbe un esempio migliore sapere che la psichiatria territoriale funziona come si deve. Una cosa che mi preme dire è spiegare perché sono nati i ‘long-acting’ che sono dei neurolettici che iniettati intramuscolo coprono come copertura psicofarmacoterapeutica circa 28 giorni di tempo, in questo modo è garantito che il paziente assuma comunque le medicine con la copertura di un mese, proprio perché, e lo ripeto, la schizofrenia è una malattia cronica".
Diego Berti