Oggi è conosciuta nel mondo per la sua natura gentile, e come terra di elezione per le uve usate nella produzione del celebre Prosecco di Conegliano – Valdobbiadene, la cui storia parte con la fondazione della Scuola di Viticoltura ed Enologia nel 1876, a Conegliano, prima in Italia. Da parte del Consorzio di Tutela, collegato alla Stazione Sperimentale di quella scuola, nel 1923 riceve particolare attenzione il Prosecco. Nel 1966 viene tracciata la “Strada del Vino Bianco”, ora “Strada del Prosecco e Vini dei Colli di Conegliano Valdobbiadene”, le cui colline sono inserite nella lista del Patrimonio dell’umanità UNESCO.
Questa cittadina dal visibile benessere e dall’armoniosa architettura è antichissima, la storia di Valdobbiadene, ha più di quattrocento secoli! La testimonianza è data dagli oggetti rinvenuti dagli archeologi nei dintorni del sito: fossili che dimostrano la presenza di pastori, cacciatori, pescatori, che dimoravano in grotte e capanne. Nella famosa “Historia Langobardorum”, la cui stesura durò due anni, dal 787 ai 789 d.C., Paolo Diacono ci racconta che qui, in questo luogo che lui conosceva come “Duplavilis” (Piave a doppia via), già si coltivava la vite. Venanzio Fortunato, nato nel 530 d.C. così ebbe a descrive il luogo:
“Quo Vineta Vernatur,
sub Monte Jugo Calvo,
quo Viror Umbrosus
Tegit Sicca Metalla”
(dove germoglia la vite, sotto l’alta montagna, in cui il verde lussureggiante protegge le zone brulle)
In seguito, il territorio assunse il nome “Val di Dobiadene”, che riguardava l’intera area limitrofa.
Per i Romani era ”Valis Phlavis” (Valle del Piave).
Da quest’insieme di nomi che si sono susseguiti, scaturisce l’origine dell’attuale toponimo.
Al tempo di Roma il luogo ebbe un contributo significativo per lo sviluppo dell’insediamento, dalla vicinanza dei centri di Asolo e di Feltre, oltre che di Belluno.
Nel 400 d.C. fu edificata una chiesetta, divenuta poi la parrocchia del territorio. La chiesetta, restaurata, di proprietà privata, esiste ancora. Sempre nel primo millennio, l’imperatore Enrico V, a seguito degli aiuti ricevuti, donò alcune terre al signore di Treviso, tra cui queste, e da ciò l’abitato entrò a far parte dell’area trevisana. Ma fu nel XII secolo, che vennero regolati i suoi confini. Per quasi un secolo si trovò poi assoggettata al dominio degli Ezzelini. Nel ‘300 entrò a far parte della Repubblica Serenissima, pur mantenendo lo statuto delle “Regole”. A capo delle 15 comunità agresti furono i “Merighi”, i capi eletti dalla popolazione di ognuna di esse comunità.
La storia incontra poi Napoleone, e gli Asburgo, e le “Regole” lasciano il posto a tre Comuni: Valdobbiadene, Bigolino e San Pietro di Barbozza, passati poi questi ultimi a far parte integrante del primo. Qui, nel 1867, la Locanda “Alla Rizza” ospitò per una notte Giuseppe Garibaldi.
Storica è l’origine di San Pietro di Barbozza: è da ascrivere alla Peste Nera, che nel 1348 colpì l’abitato di Barbozza. I villici chiesero al signore locale di costruire una borgata lontana dalla zona di contagio; questi acconsentì, al luogo fu dato il nome del Santo che avevano invocato.
Nel periodo della Serenissima i nobili veneziani acquistarono terreni, svilupparono valide attività, tra cui la coltura del baco da seta, Valdobbiadene crebbe in ricchezza, divenne città.
Le due guerre mondiali crearono distruzione. Durante la seconda, Valdobbiadene fu anche teatro di un orribile fatto di sangue: a maggio del ’45 i partigiani della brigata “Mazzini” fecero prigionieri di guerra 50 appartenenti alla Xª Flottiglia MAS della Repubblica Sociale Italiana. Li sottoposero a un rapido interrogatorio presso la sede della brigata, per procedere poi all’esecuzione sommaria in tre vicine località: Saccol, Madean di Combai, e Segusino. L’orribile accaduto è ancora oggi ricordato come “l’eccidio di Valdobbiadene”. Nel 2005 fu aperto un fascicolo che trovava collegamento con l’eccidio del Bus de la Lum e con la strage di Lamosano, per rilevare le responsabilità: furono fatti troppo gravi per rientrare nell’amnistia di Togliatti. Nel 2007 l’indagine venne archiviata per decesso, scomparsa, o insufficienza di prove, dei presunti responsabili. Ma lasciamo in disparte i tristi eventi, andiamo ora a vedere le bellezze che riserva Valdobbiadene:
E’ il caso di cominciare con Piazza Marconi da poco rimessa a lustro, con il suo Duomo, l’imponente campanile del ‘700 alto ben 70 m. La chiesa è del ‘400, rivisitata nel ‘700 in stile Neoclassico: Custodisce cospicue opere d’arte. Per citarne alcune: i dipinti del ‘500 di Palma il Giovane, la Madonna in trono di Paris Bordon, la pala d’altare di Francesco da Conegliano, l’importante olio su tela dell’800 di Rosa Bortolan, dai colori vivi e armoniosi, che raffigura San Venanzio Fortunato.
Tutti i dintorni di Valdobbiadene sono piccoli gioielli da gustare; come la frazione Guia, la cui chiesa di San Giacomo, è attribuita al Canova.
Nella zona golenale di Bigolino, tra il monte Cesen di natura carsica, e le colline del Prosecco,
è fruibile una passeggiata naturalistica nel Parco del Piave a “Protezione Speciale”, caratterizzata da grotte scavate dal fiume, e dalla presenza di risorgive di acqua purissima, dette “fontane bianche”.
Nel territorio sono presenti alcune ville venete, in parte convertite in splendido hotel. Ben nota è Villa dei Cedri, in cui spicca quel secolare cedro del libano Il complesso trae origine da un mulino del ‘700 fatto girare dalle acque del Cordana, trasformato nell’800 in filatoio per seta, noto per la produzione di una seta di alta qualità, l’organzino. I tessuti prodotti erano talmente preziosi che induceva le Case di Moda a prenotarli per tempo. All’opificio venne aggiunta un’ala e infine l’edificio ritornò di proprietà comunale.
Dal ’63 è stata sede della “Mostra Nazionale Spumanti”, che significò prestigio per Valdobbiadene.
Viene ora curata la tutela e la valorizzazione del Patrimonio conferito dall’UNESCO, e della tipologia Superiore di Cartizze, ma rivisitata la parte con le sue belle sale, i tre piani dell’ex opificio la sua corte interna, e il parco, torneranno presto a ospitare la Mostra Nazionale degli Spumanti. Paolo Pilla