Zayro come chiamato nel Medioevo, è situato nella parte meridionale della Provincia di Treviso.

Da quanto è dato sapere, le sue origini risalgono al Paleoveneto; maggiori notizie si hanno da quando gli antichi Veneti, nel II secolo a.C., dovettero soggiacere alla volontà dei Romani e passare sotto il municipium di Altino. Non fu tutto male, il territorio fertile e ricco di corsi d’acqua fu centuriato, l’agricoltura riorganizzata ne ebbe beneficio. Si completò inoltre la bonifica dei terreni che da tempo i Venetici in ciò esperti avevano iniziato con la canalizzazione delle molte risorgive. Alla inalveazione conseguì il generarsi del corso d’acqua, a cui venne dato lo stesso nome del territorio, Zero, il fiume che oggi passa proprio al centro della città. Il toponimo Zero, già Zayro, si rifà a un prediale, al cognome dell’antico proprietario del terreno.

All’istituzione dei liberi comuni, Zero entrò a far parte della podesteria di Treviso di cui visse le sorti, compreso il divenir parte della Serenissima, mantenendo tuttavia l’apparato delle “regole”.

Il suolo fertile e salubre suggerì ad alcuni patrizi veneti  di creare lì attorno le loro residenze di campagna, e da ciò nacquero le ville venete che abbondano nei dintorni per numero e bellezza.

Alla caduta di Venezia nel 1797, fu terra di conquista degli austriaci, poi di Napoleone. In quel periodo Zero e Sant’Alberto furono innalzati a Comune, facenti capo prima a Vicenza, poi a Padova. Avvenne nella seconda metà dell’Ottocento il rientro in seno alla Marca. Con l’annessione al Regno   del 1866, il toponimo Zero fu completato con Branco, dal nome di una località rurale, un colmello, com’era costume dire nei tempi andati, per indicare località facenti parte dello stesso abitato.

A completamento del territorio comunale sona due frazioni, Sant’Alberto e Scandolara.

Durante le due guerre mondiali Zero Branco fu vittima di devastazioni, ma la popolazione si diede da fare; con impegno ricostruì quanto distrutto, si dedicò alla ricrescita e allo sviluppo. Il vedere qualche tratto che non era stato distrutto, fa intuire quanto fosse bella la città.

Oggi è un centro attivo in ogni settore delle attività, ma conserva la ricchezza delle sue tradizioni, consapevole di avere un passato culturale di spessore da conservare.

Tra i principali monumenti della zona va segnalata

-La chiesa a tre navate di Santa Maria Assunta, del XII secolo, inserita all’incrocio di un cardo con un decumano. Più volte danneggiata e ricostruita, fu oggetto della bolla “Justis fratrum” con cui Papa Eugenio III, ne confermava la proprietà al vescovo di Treviso Bonifacio. La facciata, riedificata nell’Ottocento è in stile neoclassico, simile a quella palladiana di S. Francesco della Vigna a Venezia. All’interno un bell’altare del ‘600; il settecentesco organo dell’organaro veneziano Giovanni Placa; la pala effigiante la Madonna del Parto impegno autografo di Palma il Giovane. L’alto campanile è sorto tra il sei e settecento.

Anche le chiese di Sant’Alberto e di Scandolara sono interessanti,  ricordano tempi antichi, più volte ristrutturati, e ville venete. Sempre in centro di Zero, notevole è Palazzo Sagramora, di struttura gotico-trecentesca. Ospizio della Scuola dei Battuti. dava alloggio alle vedove, e ospitava i pellegrini. Cinque arcate ogivali ne cadenzano l’armonia.

Numerose sono le ville venete, tra le quali la più nota è Villa Guidini, importante polo culturale nel colmello di Conche. Ha il giardino ricco di particolari vecchissime querce. La costruzione dell’edificio ebbe inizio alla fine del ‘600, la  facciata della villa è rivolta al parco. Il secondo piano   è fornito di terrazza lievemente aggettante, termina con il frontone ornato ai lati da curve tardo-barocche. All’interno attraggono gli stucchi, eseguiti nel ‘700 dall’asolano Giovanni Bitante. Adiacente c’è l’oratorio di S. Ignazio, decorato da stucchi e da elementi lapidei tra cui un bell’altare con pala ritraente la  Madonna del Carmine  con Gesù Bambino e i Santi. Antica è anche la campana, della fine del ‘600. L’edificio fu acquistato da uno svizzero, Giovan Battista Guidini, alla sua morte passò in eredità ad una Associazione di Reduci, che la cedette poi al Comune di Zero Branco. Le barchesse fornivano alloggio alla servitù, e si custodivano i grani e i vini. Per un certo periodo nel perimetro fu eretta anche una fornace per la cottura dei mattoni, In seguito demolita, sostituita da un laboratorio di spezie, simile seppur di tono minore, a quello Pesaro di Mogliano.

Non lontano, sulla Noalese in direzione di Treviso, altra bella villa veneta, del ‘500: Villa Albuzio, immersa in oltre due ettari di prato incorniciato da frassini e tigli, su cui son venuti alla luce resti di edificio di epoca medievale. la facciata sfoggia lo stemma araldico della famiglia Albuzio. Inserita nel gruppo “Le dimore del quartetto” – insieme culturale che valorizza la cultura in Europa, ospita teatro, eventi musicali, a cui fan capo ville e castelli. Molto armoniosa la barchessa con le sue ariose arcate e la collinetta, un tempo attrezzata con funzione di ghiacciaia.

Un cenno seppur breve va fatto di un’altra Villa Albuzio, questa del ‘700, sita a pochi passi dal centro. Simile a Villa Guidini, anch’essa un tempo circondata da un parco bagnato dal fiume Zero,  ricco di magnolie ed altre essenze profumate. Oggi è un prato, che dalla cancellata sorretta da due colonne sagomate con funzione decorativa e sormontate da statue, apre l’accesso alla villa. Proprio a questa si aggancia una storia emblema del nord-est: Umberto Corò, classe 1934, Riviera del Brenta, seconda elementare, a 14 anni apprendista falegname, con buona volontà e determinazione diviene mobiliere. Lavora sodo, passo dopo passo il suo lavoro è apprezzato, acquista l’antica villa Priuli Donà a Marano di Mira, su cui inserisce la falegnameria e crea un bel posto in cui vendere i suoi mobili. Fu quell’acquisto il primo di una serie. Coadiuvato dai figli ne acquista una serie, quasi un rito: Ville dismesse, messe all’asta come spesso accadeva negli anni sessanta. Sentito il parere della Soprintendenza, le rimette in buono stato, e le utilizza per i suoi commerci. Una di queste è proprio quella di cui ci stavamo occupando, Villa Albuzio.            Paolo Pilla