
La possibile sospensione del traffico passeggeri sulla tratta ferroviaria Ponte nelle Alpi – Calalzo di Cadore dal 2026 fa scattare l’allarme tra cittadini e associazioni.
Il presidente dei Bellunesi nel Mondo, Oscar De Bona, avverte: «Rinunciare a questa linea, tra le più suggestive al mondo, sarebbe un errore storico per turismo, economia e legame con la comunità emigrata».
L’annunciata chiusura al traffico passeggeri della linea ferroviaria Ponte nelle Alpi – Calalzo di Cadore a partire dall’estate 2026 solleva un’ondata di preoccupazione nel Bellunese.
A guidare l’appello contro la decisione è Oscar De Bona, presidente dell’Associazione Bellunesi nel Mondo, che parla senza mezzi termini di “passo indietro” per il territorio.
«Siamo davvero preoccupati – dichiara De Bona – come possiamo pensare di far rientrare i giovani bellunesi, che sempre più spesso fanno le valigie, in una terra che non investe e non cresce?».
Secondo il presidente, la tratta non è soltanto un collegamento ferroviario, ma un simbolo e uno strumento di sviluppo: «Il turismo delle radici è un’opportunità concreta, migliaia di discendenti di emigranti vogliono scoprire i borghi e i paesaggi dei loro nonni. E noi cosa facciamo? Chiudiamo una delle linee più belle al mondo dal punto di vista paesaggistico».
L’appello non si limita a chi vive lontano: De Bona sottolinea come il servizio debba essere pensato anche per i residenti delle valli. «Se il treno funzionasse davvero, sarebbe usato per lavoro e per svago; basta dire che è sempre vuoto: serve efficienza, puntualità e integrazione con gli altri mezzi».
A rendere la decisione ancora più contestata è il ruolo della stazione di Calalzo – Pieve di Cadore, considerata la porta d’accesso alla pista ciclabile delle Dolomiti, uno degli itinerari cicloturistici più spettacolari al mondo.
«È assurdo penalizzare un percorso che offre scorci mozzafiato e che andrebbe potenziato; la ferrovia è fondamentale per un turismo sostenibile, per l’economia locale e per mantenere vivo il legame con i bellunesi nel mondo», conclude De Bona.
Il timore, condiviso da amministratori locali e associazioni, è che la chiusura possa rappresentare non solo la perdita di un’infrastruttura strategica, ma anche un segnale di abbandono per un territorio già fragile dal punto di vista demografico ed economico.