Quinto e i suoi dintorni sono la quintessenza del territorio trevigiano.

Basta pensare al Sile, il fiume di risorgiva più lungo d’Europa se non del mondo, 100  km di acque sane, pulite, e dallo scorrere silenzioso (Sile-silente). Con l’appellativo “di Treviso”, nell’800 si volle dare specifica al nome di Quinto, per distinguerlo da omonimi Comuni. Così com’era in uso fino al ‘900 per i nomi propri di persona (Primo, Secondo ecc., in ordine di nascita) che le famiglie davano al figlio, anche per i centri abitati esisteva il vezzo di ricorrere alla numerazione. Non serve andar lontano, nella vicina Morgano c’è una località che si chiama Settimo. Mi piace inoltre pensare che gli stessi abitanti di Quinto gradiscano il nome composto della città, per l’apprezzamento di appartenere al territorio della Marca Gioiosa. Era kwinto il suo nome un tempo, ricordo di averlo sentito più volte nominare in questa forma da persone di una certa età.

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Il borgo abitato si formò anticamente, oltre 2000 anni prima di Cristo, nel periodo preistorico legato alla diffusione della metallurgia del bronzo. Al loro arrivo i Paleoveneti trovarono già  qualcuno, gli Euganei, che si ritirarono nelle valli alpine lasciando loro la possibilità d’insediarsi in pace. Testimonianza è resa dai numerosi reperti, custoditi nei musei trevisani.

In epoca romana Treviso era florido Municipium, Quinto ne stava a ridosso, era una mansio, con stazione di posta per il cambio dei cavalli. Aveva la sua Pieve di rilievo, San Cassiano, assegnata all’Abbazia di Mogliano. Eugenio III papa, nel 1152 confermò con bolla la dipendenza di quella pieve alla diocesi di Treviso, e da quella data il sito assunse il nome Quinto.

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L’abitato non era a quel tempo ubicato sulle sponde del Sile, vi si stabilì in seguito, accanto a un fortilizio presente su terreni di proprietà del Vescovo, rimanendo nondimeno legata a Treviso. Lo spostamento del centro abitato ebbe però un significato clericale negativo, la Pieve non poté più avere tanta importanza. Per gli abitanti invece fu fondamentale: Attraversata dal Sile, poté sfruttare la pesca, dedicarsi per secoli all’arte molitoria, a beneficio dell’economia. Nel ‘300 l’antica Pieve fu surrogata da una nuova chiesa dedicata a San Giorgio.

La Serenissima Repubblica di Venezia, che vi regnò fino alla sua caduta nel 1797, portò beneficio al territorio. Come nel resto della Marca, le attività poterono operare con maggior sicurezza e tranquillità, i patrizi veneziani si costruirono le ville in campagna.

Dal ’41 al ’47 Quinto ebbe anche la stazione ferroviaria, sulla linea Treviso-Ostiglia: una ferrovia militare al servizio anche dei civili, divenuta oggi una stupenda pista ciclabile di 110 km, che da Treviso raggiunge Legnago, attraversando le province venete di Padova, Vicenza e Verona.

La storia di Quinto vien ricordata anche dai suoi monumenti, le chiese, le ville. È notevole il patrimonio culturale legato alla cristianità.

   La chiesa di San Giorgio Martire, inserita nel vicariato di Paese, è la parrocchiale. L’originaria cappella surroga a San Cassiano risale al ‘300, rifatta ampliata nel Settecento, e ricostruita nel 1925 su progetto di Antonio Beni architetto, pittore e decoratore, indispensabile nella ricostruzione delle chiese distrutte durante la Grande Guerra. Suo è l’affresco “Immacolata tra Adamo ed Eva”, dipinto nell’abside della Cattedrale di Treviso. L’attuale chiesa è un insieme composito, di buon effetto: la facciata è a tre corpi, con la parte centrale marcata da due lesene ornate, bello il portale protetto da arco a sesto acuto. L’interno è a tre navate a croce latina, con archi ogivali, l’abside poligonale racchiude il presbiterio rialzato. Molte e di pregio le opere, ma del vecchio edificio soltanto due affreschi del ‘400, e un trittico di Lodovico Pozzoserrato.

   La chiesa di San Cassiano, l’antica pieve, conserva un bellissimo altare ligneo adornato con un polittico del XVI secolo, il soffitto di Jacopo Guarana del Settecento, il trecentesco fonte battesimale in pietra d’Istria, le tele di Lattanzio Querena e Ascanio Spineda, e l’ottocentesco organo di Giovan Battista De Lorenzi “fonocromico”, atto cioè a regolare  l’intensità del suono con un doppio abbassamento del tasto, da lui ideato, e integro da manomissioni. E ancora il campanile medievale, con tre primitive campane.

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   La chiesa di Santa Cristina aveva altrettante origini antiche, nel 1125 furono le monache a fondare qui una cappella dipendente dalla pieve di San Cassiano. Più volte rinnovata e ampliata, la chiesa conserva opere di grande valore: Lorenzo Lotto la decorò all’inizio della carriera con la Pala di Santa Cristina  e la lunetta Cristo morto e gli angeli; ci sono poi le settecentesche cantorie; il fonte battesimale; il mosaico e il Buon Pastore di Angelo Gatto. La pala del Lotto subì trasferimenti vari nei secoli per la sua protezione, anche su interessamento e cura di Beppe Ciardi. Fu esposta per breve tempo al Bailo di Treviso, oggi è dove nacque, nella Chiesa di Santa Cristina riedificata svettante nel 1930 in stile neoromanico, con caratteristiche particolari finalizzate a garantire l’ambiente adatto alla salvaguardia delle preziose opere che custodisce.  

Con il fascino destato dal fiume, Quinto è sempre stata di richiamo. Attratti ne furono i patrizi veneziani e i Canonici domenicani, che scelsero di insediarvi ville e case domenicali. Purtroppo molte non ci sono più, sono andate completamente distrutte. Anche i pittori erano conquistati dal sito, i Ciardi innanzitutto. Modello prezioso di villa veneta era qui palazzo Lollin decorato a fresco dal Pozzoserrato, che nell’Ottocento fu purtroppo abbattuto.  

   C’è villa Ciardi, del ‘600, la cui famiglia di tutti pittori usava per riprendere i paesaggi di campagna e del Sile, pensando a quella nuova pittura espressiva che li rese famosi nel mondo. Dopo Guglielmo Ciardi, dal 1930 fiorisce l’arte veneta del figlio Beppe, la più importante del primo Novecento. A marcare la dedizione della famiglia all’arte tutta, sulla facciata della villa sono presenti tre affreschi rappresentanti la pittura, la scultura e l’architettura”. Durante la guerra 15/18 la villa venne usata come ospedale da campo, all’interno non sono più presenti dipinti dei Ciardi, alienati dagli eredi nel dopoguerra, con l’intera proprietà.

Nel periodo postbellico molte altre ville si resero disponibili per ospitare le famiglie del paese rimaste senza casa; tra queste villa Borghesan, che accolse la “Squadriglia degli Assi” con Francesco Baracca, e la famiglia del cantante Red Canzian. La villa ora non c’è più, abbattuta da una tromba d’aria.

   C’è villa Memo-Giordani, anch’essa del ‘600, voluta dalla famiglia Memmo gemma del patriziato veneziano, oggi sede dell’amministrazione comunale. Di recente nel parco della villa ho avuto il piacere di assistere ad uno spettacolo legato a letteratura e danza: letture da Federico Garcia Lorca, leggende moresche tra le torri dorate dell’Alhambra,

interpretate con passione dalle signore di AUSER, intervallate da danze della tradizione gitana ricreata dalle ballerine di Flamenco “Suenos y Son” di Carla Povellato.

Molto bello, suggestivo! Ci sono state oltretutto ammannite prelibatezze legate al contesto storico.   

E per finire un accenno all’Oasi Cervara, riserva naturale di tutela dell’ambiente. Sono 25 ettari di palude, numerose polle d’acqua di risorgiva alimentano il Parco Regionale del Sile. È Zona di Protezione Speciale per difesa della fauna selvatica e  mantenimento della flora spontanea del Sile, biotopo di Interesse comunitario. Maestosi angoli di verde!!                  Paolo Pilla