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Questa cittadina ha il primato di essere il primo territorio di terraferma ad aver fatto parte della Serenissima. Infatti, dopo le dominazioni medievali dei vari da Camino, del vescovo di Ceneda, e degli Ezzelini, nel 1291 i Caminesi, potente famiglia che dominò la scena politica dal XII fino al XIV secolo e che avevano anche eretto un castello, cedettero in armonia il territorio di Cessalto alla Repubblica di Venezia. L’accordo tuttavia, ebbe i canoni della formalità solo un secolo dopo.

Sotto il governo della Serenissima Cessalto dipendeva dal distretto di Motta; vi era iscritto come Villa, con sei Colmelli. Nelle antiche mappe del Cantone Sono evidenziate le località di Cessalto, Santa Maria di Campagna e Sant’Anastasio, con un certo privilegio per le ultime due. Successe infatti che con il  riordino di Napoleone queste risultarono non più Colmelli, bensì autonome,  subalterne al Cantone di Motta. Veniva data meno rilevanza a Cessalto, pur possedendo questo un maggior numero di abitanti. Corsi e ricorsi della storia!

Il toponimo Cessalto “Caesus saltus” (bosco tagliato) ci riconduce alla fitta selva esistente fin dalla preistoria, che dai Romani venne a poco a poco disboscata. Era a ridosso della via Annia, della quale rimangono tracce e i resti di un ponte. Di quella grande selva che faceva parte dell’antica Silva Lupanica oggi  rimane poco: il bosco Olmé, soggetto a vincolo per la presenza di piante e fiori

risalenti a millenni addietro. È luogo di interesse naturalistico, visitato da studiosi. A S. Maria di Campagna c’è il bosco S. Marco, con piantumazioni finalizzate al ripristino dell’area boschiva.

Rimangono considerevoli tracce dei Romani ivi giunti nel 186 a. C.: la visibile centuriazione in campagna a S. Anastasio, i collegamenti stradali e fluviali, i numerosi reperti tra cui un monumento funerario ora esposto all’ingresso del Municipio. Il console Tito Annio Lusco diede l’avvio ai lavori della via Annia che collegava Adria ad Aquileia, la via più breve fra la Capitale e Bisanzio.

Ad attraversare la cittadina è il fiume Piavon, affluente del Piave, un tempo adatto alla navigazione fluviale. Lungo una delle anse i da Camino avevano eretto un castello, vi risiedeva il Governatore.

Quella pratica via d’acqua fu utile ai patrizi veneziani che ambirono a edificare le numerose ville tuttora presenti. A Cessalto, è d’uopo parlare delle ville venete. Due particolarmente importanti, del ‘500, sono Villa Zeno e Villa Emo Capodilista, entrambe uscite dalla matita di quel grande che fu Andrea Palladio. Villa Zeno, patrimonio dell’Umanità Unesco  è divenuta famosa. L’altra è la maggiore. Di entrambe è opportuno conoscerne i particolari.

-Villa Zeno – Nell’osservare i disegni della pianta si riscontra facilmente la completa rispondenza con quanto riportato sul trattato in quattro tomi pubblicato nel 1570 da Andrea Palladio, la pubblicazione illustrata di architettura che  dette avvio al “palladianesimo”. Si dice però che l’esecuzione non risponda in toto al progetto originale.

Progettata dal Palladio intorno al 1554, Villa Zeno detta anche il Donegal, è nell’elenco del patrimonio dell’umanità UNESCO come le altre ville palladiane venete. Ciò nonostante, a parte la barchessa utilizzata come magazzino a servizio dell’agricoltura, il resto dei fabbricati è in totale abbandono. È situata prossima al fiume Piavon, gli edifici che circondano la villa all’interno della recinzione sono totalmente ad uso agricolo. Visione gentile dovrebbe generare la chiesetta, ma è assorbita all’interno dell’edificio, che perlomeno le riserva un portico architravato. Il prospetto principale della villa è rivolto al fiume, ed entrambi i fronti sono sormontati da timpano.

Ora qualcosa si è mosso: gli studi delle università di Padova e Venezia, e dell’Istituto Ville venete, l’impegno nel restauro dei discendenti di Marco Zeno, il contributo elargito dal Gal Terre di Marca che ha sostenuto un primo intervento,  la villa ridiverrà luogo culturale, tornerà a splendere.

-Villa Emo Capodilista è ubicata in località Magnadola, anch’essa in prossimità del canale Piavon,

ed è circondata da un grande parco. La cancellata, incardinata su eleganti pilastri, mette in evidenza lo stemma nobiliare. Villa, barchessa, oratorio, annessi, ricevono protezione da un alto muro merlato.

Il ciclo dei dipinti del  Veronese, al secolo Paolo Caliari (1528-1588), e dei suoi allievi, impreziosiscono il piano terra del fabbricato che pur sottoposto a rimaneggiamenti, rimane di rilievo per l’impianto architettonico e per la bellezza degli affreschi alle pareti

Non è nota la data della costruzione, certo è l’architetto che l’ha progettata: Andrea Palladio. Passò di mano tra più famiglie, fino ad arrivare agli Emo-Capodilista, che la cedettero ai Giacomini.

Gli affreschi del salone centrale e della sala a lato, gli ambienti più belli della villa, raccontano la storia! Da ammirare il “Convito di Cleopatra”, “Dario che supplica Alessandro”, “Annibale giovane che giura odio ai Romani”, “Coriolano e Veturia”, “Cincinnato che salva Roma”, e molto molto altro.

Interessanti le dodici cariatidi color ocra, sovrastate da segni zodiacali inseriti in medaglioni ovali.

Nell’800, la nobile famiglia Manolesso proprietaria, rilevò che gli affreschi si erano deteriorati negli anni a causa delle esalazioni prodotte dalla fermentazione delle uve pigiate per fare il vino. Un castaldo aveva scioccamente fatto porre i tini in quell’ambito leggiadro, i bifolchi fecero schizzare il mosto sulle sfarzose vesti delle regine, sulle tavole imbandite di Cleopatra. I soggetti persero il loro colore, divennero marrone, per scomparire poi sotto muffa e polvere. Più volte furono ripuliti dal «color oscuro», Antonio Caccianiga era insoddisfatto, ma gli affreschi un po’ si salvarono.

Al tempo nostro la villa era ormai male in arnese. Dopo 8 mesi di lavori, nel 2021 si è concluso il restauro, la villa è tornata a splendere. In quella terra di ville, sulla riva destra del Livenza prospera bene però anche la vite. Di recente ho avuto l’opportunità di partecipare ad una cena tipica della cucina locale con le specialità culinarie legate alla tradizione veneta, alla Sagra di S. Anastasio: “Sàeame cot in tel teciet”, “ossi de porzel”, “muset col cren” e “fasioi”. Un po’ impegnativo! Mi è stato abbinato un rosso da tavola del luogo, l’Ancelotta, che ne ha fatto accompagnamento fascinoso. Vino davvero eccellente!                                                   Paolo Pilla