il Campo da GOLF con l’onore del suo nome
Da quando ero piccolo mi han sempre destato interesse le “Canossiane”, un ordine di suore che si dedicano all’insegnamento. A Treviso erano in un bel palazzo in centro città, ora sono in periferia, ma sempre si dedicano all’insegnamento: curano la scuola primaria, media, licei di scienze umane, sportive, applicate, e nelle varie formazioni professionali. Tengono corsi gratuiti di preparazione su tutte le discipline intese alla professionalità, le più svariate, dalle lingue straniere al commercio, all’informatica. Mi incuriosiva la fondatrice, la contessa Mathilde di Canossa, nobildonna italiana di una famiglia feudataria di stirpe longobarda, che seppe reggere il confronto con papi e imperatori, e farsi ricordare fino ad oggi. Qualcuno l’ha definita una santa, chi l’ha disprezzata, chi la considera una pioniera femminista. Protagonista nel Medioevo, ha cambiato il corso della storia sulla parte d’Italia a nord dello Stato

Pontificio. Nata a Mantova nel 1046, Matilde a soli 6 anni rimane orfana del padre Bonifacio di Canossa detto il tiranno, assassinato; deve fuggire con la madre Beatrice di Lorena, perché la famiglia era invisa agli abitanti. La madre poi si risposa con Goffredo il Barbuto, avversato dall’imperatore, che imprigiona lei e la madre nel castello in Germania. Costretta a sposare Goffredo il Gobbo, il matrimonio è di breve durata. Fugge Matilde e torna dalla madre. Nel frattempo il marito muore, e lei si trova a dover badare a un grande dominio, che abbraccia parte della Lombardia e del Veneto, al centro Italia. Muore nel 1115 a 69 anni, a Bondeno di Roncore, una località in provincia di Reggio Emilia. Ricca, titolata e potente com’era, Matilde avrebbe potuto far la bella vita, si dedicò invece a cose ben più rilevanti: fondò diversi monasteri, amministrò i suoi numerosi beni favorendo l’istruzione, e il rispetto della chiesa. Confidente del Papa, gli chiese di poter celebrare la messa. Si dice che Matilde aspirasse al sacerdozio per le donne, e che il papa la lusingò promettendole che l’avrebbe autorizzata a officiare se fosse riuscita a costruire cento chiese. C’era quasi, morì dopo averne edificate 99.
Avuta l’opportunità di andar a fare una gara di Golf alle Terre di Canossa con i miei colleghi della stampa, ci sono andato volentieri perché appagava un desiderio che scaturiva, come detto prima, dalla curiosità mia verso quella donna determinata, di cui sono presenti in molte località le importanti opere dedicate all’istruzione del popolo, che portano il suo nome.
Il Campo di gioco che si chiama appunto Matilde di Canossa, a San Bartolomeo di Reggio Emilia, in un ecosistema incontaminato, posso assicurare che è di una portata degna di quel nome. Il disegno è uscito dalla matita di Marco Croze nel 1987, 18 buche sistemate a ridosso di Reggio Emilia, sui terreni di quella contessa che tanta influenza ebbe sull’Italia alla fine del primo e l’inizio del secondo millennio. Il percorso, par 72 di 6.200 metri dai gialli, è piuttosto impegnativo, ma si può dire che snodandolo tra paesaggi splendidi, l’architetto ne abbia curato l’estetica.
Per quanto mi riguarda, è impossibile affrontarlo senza car. I declivi sono dolci, ma son pur sempre pendii da affrontare con lena e attenzione, anche per la presenza del torrente Quaresimo su tutta l’ampiezza del Campo. Oltre che da me, il quartetto era composto da Giovanni, Giancarlo, Roberto,

tre esperti e bravi giocatori. Giancarlo era equipaggiato con attrezzi hickory, e vestito com’era in uso cent’anni fa, cosa che destò l’interesse degli spettatori. Avevamo anche un super caddie, Piero, che con la sua attenzione non ci ha fatto perdere neanche una pallina. Va anche detto che il Piero, di cui conoscevo la resistenza per esser e andato con lui a girare la Sardegna, ha un fisico super, si è fatto come niente 18 chilometri a piedi (misurati) sotto il sole, per osservare il nostro gioco. Grazie Piero, a nome del team.
A parte l’impegno fisico, non sono molte le difficoltà importanti. La maggiore è stata alla buca 11, un par 4 di 382 metri, con il torrente che fiancheggia per l’intero tratto, che l’ attraversa ben tre volte, per finire con il circondare il green. Non è da meno il par 5 della 17, lunga e con ostacolo d’acqua frontale. Particolare è l’ultima buca, la 18, un par 3 di 150 metri con il green protetto da tre bunker. Scenografica per chi gioca, e per chi, conclusa la gara, si accomoda fuor della club house che la sovrasta, a guardare il fine partita. È una buca da giocare con cura, assaporare la sua delicatezza, comune al resto del percorso, per la dolcezza delle colline. La bravura dell’architetto è stata di usare il territorio valorizzando la sua natura, scegliere il susseguirsi delle buche in modo che i pendii non siano tanto marcati, permettere un gioco tecnico all’altezza dei migliori Campi.
Eccellente l’ospitalità fatta di attenzioni, la cucina emiliana è famosa nel mondo, aiuta a far tornare il vigore perduto nella stanchezza della competizione.
Con il mio gioco ho preso la virgola, che mi ha fruttato un bellissimo cucchiaio di legno.
Il giorno appresso, la seconda gara è stata a Salsomaggiore, a cui non ho potuto partecipare, per impegni inderogabili.
Ed ecco i più bravi, gratificati con bei premi:
nel Lordo ha vinto Davide Santandrea con 29 punti
nel Netto di 1^ categoria Massimo Calamo con 35
nel Netto di 2^ categoria Beppe Negri con 36

Il prossimo incontro a Menaggio e Cadenabbia il 17 giugno, 6^ tappa del challenge AIGG Galbusera



